F4 / un’idea di Fotografia 2018
Al via l’Ottava edizione del Festival di fotografia contemporanea
da Mario Giacomelli alle ricerche emergenti
sul rapporto tra individuo e società
Il 13 luglio ore 18.00 a Villa Brandolini a Pieve di Soligo (TV) inaugura l’ottava edizione del Festival F4 / un’idea di Fotografia promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri in collaborazione con il Comune di Pieve di Soligo e con la direzione artistica di Carlo Sala. Una serie di mostre che offrono uno spaccato sulla fotografia contemporanea: dalla grande mostra dedicata a Mario Giacomelli fino alle ricerche più innovative del panorama italiano, avendo come tema unificante il rapporto tra l’individuo e la società.
Il Festival si apre con un’ampia mostra antologica dedicata a Mario Giacomelli, uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento, promossa in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano. L’esposizione Mario Giacomelli. Il corpo della terra, curata da Carlo Sala, presenta i due cicli più importanti dell’autore, i Paesaggi e l’Ospizio (in un secondo momento rinominato con il titolo tratto della poesia dello scrittore Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi), che contribuiranno a conferire all’autore una notorietà internazionale.
Nei Paesaggi di Mario Giacomelli, anche ritraggono le dolci colline marchigiane, si sente appieno l’eco delle ricerche dell’arte informale europea che cercano una “forma altra” rispetto al reale. Come è noto, l’autore per realizzarli chiede ai contadini suoi conoscenti di tracciare sulla terra dei segni con i loro trattori, modificando così il territorio; in fase di stampa poi l’artista accentua questi segni dimostrando una grande libertà, voglia di sperimentazione e perizia derivanti anche dalla sua precedente attività di tipografo. Una visione che tende a forzare il reale e piegarlo verso le forme dell’astrazione.
In Verrà la morte e avrà i tuoi occhi l’artista racconta la situazione di solitudine e desolazione nell’ospizio di Senigallia nelle Marche, sua città natale; oltre ad essere un affresco sociale senza pari, è una meditazione sul tempo e sull’ineluttabilità della morte dove emerge un profondo senso del tragico fatto di grandi contrasti all’interno delle fotografie in bianco e nero.
Tra i due filoni, solo apparentemente distanti, si trovano tutta una serie di legami profondi nel vedere il paesaggio come un corpo. E’ lo stesso Giacomelli a spiegarlo: «Il paesaggio all’inizio è nato pensando alla materia stessa dell’uomo, la carne: la terra è uguale alla carne dell’uomo». Nella riflessione che compie sui valori della spiritualità della terra, della mutazione di un territorio in abbandono, arriva a sublimarlo in un corpo: «E allora, guardandolo, ho visto le sue ferite, i segni » e continua dicendo «i calli che l’uomo aveva un tempo sui palmi delle mani, la terra li porta ancora lì».
Nel percorso dedicato a Mario Giacomelli, l’artista Fabio Roncato ha inserito il lavoro Parallels / Parallele quasi fosse un omaggio all’autore marchigiano, creando così una riflessione sul rapporto fra uomo e natura in termini estetici e sociali.
A seguire l’esposizione collettiva Around me. Traces of presence in biopolscapes presenta il lavoro di tre autori emergenti del panorama nazionale che con le loro ricerche indagano alcune questioni di stretta attualità. La mostra vuole essere una riflessione su come oggi i temi della biopolitica possano trovare delle nuove applicazioni, nel delineare gli elementi intangibili che condizionano il rapporto tra individuo e società.
Il ciclo Supervision di Irene Fenara è composto da una serie di immagini provenienti da videocamere di sorveglianza, che normalmente sarebbero cancellate dopo 24 ore. L’artista rivela un paesaggio dominato da una estetica del controllo, seducente e distopica al tempo stesso, dove anche se l’uomo non compare apertamente nelle sue fattezze, è presente attraverso delle tracce immateriali, i suoi dati raccolti dagli apparecchi di controllo che attraverso il loro carattere reversibile rendono anche il controllore un controllato.
Alessandro Calabrese con le opere del progetto The Long Thing indaga la condizione di un lavoratore che si scontra con la burocrazia: gli oggetti che popolano il suo quotidiano (faldoni, cartelline, carta millimetrata) ci appaiono sotto forma di astrazioni create da uno scanner che ne ha decostruito le forme; le opere sono così giocate su minime variazioni che sembrano rendere lo stato di noia a apatia a cui è soggetta la persona.
Alessandro Sambini per realizzare i lavori che compongono la serie Spelling Book – learning from Caltech 256 ha attuato un processo dove il computer, attraverso un algoritmo, cerca di apprendere le varie classi di immagini di cui è composto un dataset. Questo processo ha generato delle forme iconiche che sono una sorta di alfabeto visivo del nostro tempo, ponendo anche una serie di riflessioni sull’impatto che il machine learning ha sull’uomo.
In un percorso articolato tra fotografie, installazioni, documenti di finzione ed objets trouvés raccolti tra i Balcani e la Romagna, L’albero del latte di Silvia Bigi, a cura di Francesca Lazzarini, esplora invece il tema dell’identità di genere, sollevando riflessioni sul ruolo della donna nella società contemporanea.
Prodotta dalla Fondazione Dino Zoli di Forlì nell’ambito del programma Who’s next, teso alla promozione e al sostegno della creatività emergente, la mostra nasce da un ritrovamento casuale: la fotografia delle sorelle Vukosava e Stana Cerovic, quest’ultima – in sembianze maschili – ultima vergine giurata del Montenegro. La scoperta dell’esistenza delle tobelije – donne disposte a rimanere vergini e a trasformarsi in uomini pur di assicurarsi una vita indipendente in una società fortemente patriarcale – è il punto di avvio di una ricerca che, toccando temi come matrimonio, dote, sessualità e perpetuazione delle norme di genere, insegue la domanda che ha ossessionato l’artista fin dal ritrovamento: sebbene viviamo in un contesto diverso, non siamo forse tutte come Vukosava e Stana?
In tempi in cui il femminicidio è argomento alla ribalta di tutti i canali di informazione nazionali, L’albero del latte risale alle origini della questione, interrogandosi sul rapporto tra natura e cultura e sulle possibilità di sovvertire le norme sociali dominanti.
A conclusione le opere del vincitore della sesta edizione del Premio Fabbri, Alberto Sinigaglia, che presenta la serie fotografica Microwave City incentrata sulla città di Las Vegas, vista come un archetipo visivo della messa in scena permanente che genera un immaginario effimero, sospeso tra realtà e finzione. Le opere raccontano il profondo legame della metropoli con la bomba atomica perché durante gli anni Cinquanta una delle attrazioni cittadine era la possibilità di osservare i test nucleari dalle terrazze degli hotel e i turisti scattavano immagini di quelle drammatiche e potenti scene, trasformandole in ricordi delle loro vacanze. La bomba è anche mimetizzata in oggetti apparentemente quotidiani e inerti che la raccontano, pur senza mostrarla apertamente. L’autore ha infatti realizzato degli still-life ritraendo alcuni oggetti, collezionati durante il suo viaggio negli Stati Uniti, che hanno una relazione con il Manhattan Project come ad esempio un monolite che sembra provenire dal deposito di grafite che Enrico Fermi usò per la costruzione della Chicago Pile nel 1942, il primo prototipo di reattore a fissione nucleare. Il progetto Microwae City attraverso queste immagini di memorabilia vuole creare una riflessione metaforica sul rapporto tra il visibile, la storia e il potere.
Le mostre del Festival F4 / un’idea di Fotografia rimarranno aperte fino al 26 agosto 2018.